Introspettiva

Una realtà

Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

Ho la sensazione che, in un modo o nell’altro, queste sbarre siano amaramente la realtà dei fatti. Possiamo sbirciare, fra le fessure, e crearci un’idea, o un’opinione, possiamo per sino condividerla. Ma stiamo comunque li dietro. Determinate cose son cambiate, e questo virus sembra aver accelerato un meccanismo di interessi geopolitici, oserei dire, che inevitabilmente causano danni dal macro al micro. Uno stato di allerta cosi invasivo da toccare la vita di ognuno. Si è venuta a creare una mente collettiva nutrita dalla insana dose di informazione e mainstream che consumiamo quotidianamente. Una piazza enorme, concepita dal digitale, sviluppatasi nella mente di ognuno … uno scambio di informazioni massiccio e fulmineo. Discusse, condivise, ricevute e mandate. E in questo vortice, una domanda sorge, dal governante e dal governato, dal grande al piccolo. Una domanda che non è stata delineata, è nebulosa, non riusciamo a metterla a fuoco del tutto ma sappiamo che ci sta un punto interrogativo. Come sappiamo che per schiarire questa nube ci vorrebbe una consapevolezza che non viene data, ho acquisita. Questo, di conseguenza, fa cadere un determinato senso di responsabilità dalle nostre spalle, pretendendo delle risposte per quel che ci interessa. Quella nube, se deve essere schiarita, ci pensino loro.

Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

Dietro queste finestre troviamo un’altra realtà che tengo a sottolineare, e come in queste, in tutte le altre finestre degli ospedali d’Italia. Finestre che nascondono sale colme del lavoro pesante di infermieri e medici onesti. Sale di sofferenza, sale di guarigioni. Sale di morti. Una realtà ben più ardua da masticare e digerire. Che siano stati alcuni dei governanti malsani di questo mondo, che sia stato Dio per noia o la stessa Natura che in un modo o nell’altro un ceffone ce lo doveva dare, è accaduto. Ci sono i morti, ci sono paesi bloccati, ci sono persone che perdono il lavoro, ci sono persone che vogliono tornare a fare la vita di prima, chi sa che le cose stanno cambiando, e che al prima non si torna. Ci sto io, ci sei tu, ci sta l’umanità, in ogni sua forma e dimensione. Ci sono continenti governati da altre tante persone. Ci sta un pianeta, un’ ecosistema, un sistema solare che fa parte a sua volta di un’ altro sistema … l’universo. Il cosmo nel suo infinto.

Desolazione

E qui veniamo a noi, che facciamo parte, volendo o no, di tutto questo. Aprile, 2020, XXI secolo, Antropocene. Italia, in quarantena prolungata. Così il nostro paese, così il mondo intero. E mentre i governanti tentano di mettere il pedale sul freno per rallentare la caduta che inevitabilmente stava già accadendo, noi società civile, militare, medica, ci ritroviamo a dover dare una giusta causa a questa quarantena, nelle nostre case, ad osservare la desolazione che abbiamo lasciato togliendo alle nostre città fatte di cose, il fascino di consumare e usare quelle cose, come solo noi sappiamo fare. Un fascino pericoloso, senza un reale fine, e che ci sta portando all’autodistruzione. Con una scia di grandi disastri con la nostra firma … e città vuote della vita.

Bologna, Strada Maggiore.

Attenzione

Questa desolazione improvvisa, questo dover stare a casa, e muoversi per sole necessità primarie ha stuzzicato un certo senso di apprensione da parte nostra, per piccoli dettagli che magari nella frenesia di prima non si riuscivamo ad identificare. Dettagli che vanno da uno spirito personale di riflessione, a quello collettivo, nello spazio che noi viviamo, nel tempo in cui lo viviamo. Nella nostra quotidianità, fatta di una miriadi di dettagli, poniamo la nostra attenzione a questi, secondo della percezione che noi abbiamo, singoli, del mondo che ci circonda e del come ci rapportiamo a questo. Ecco proprio questa attenzione è stata spostata. Un’attenzione verso noi stessi dedita involontariamente ad una tutela dell’altro. Un attenzione alla solitudine. Un attenzione al domani diversa da quella che avevamo fino a qualche mese fa.

Bologna, Strada Maggiore. Portici.

Questo ci ha spaventato. Non solo lascia tante domande in sospeso, ma ne ha portate tante altre che prima non prendevamo in considerazione. Infiniti dubbi che sappiamo di poter colmare solo in parte. Ci spaventa il rimanere chiusi dentro casa bombardati da informazioni che alimentano un collettivo in allerta continua. Un allarme che sta portando i primi risultati ne do atto … ma nonostante gli sforzi, troppi scheletri sono saltati fuori dagli armadi.

Bologna, Via Rizzoli. Attenzione.

Azione

E mentre la maggior parte di noi stiamo fermi a viverci un apocalisse dei comodi, che solo quest’era poteva regalarci, tutto intorno un fermento. Mezzi e uomini mobilitati per mettere freno a questo improvviso cambio di rotta generale. Uno stato in allarme che ha fatto appello a tutte le risorse di cui era a disposizione. Risorse che per lo più erano di già corrose dal rosicchiare dei parassiti che da anni si nutrono di quei rinforzi tagliandoli … i tagli profondi ed infetti che hanno fatto a risorse come l’istruzione o la sanità.

Bologna, Via Rizzoli. Fermata sotto le due Torri

Una medaglia ha sempre due facce. Tutto è fermo, ma qualcuno o qualcosa continua a muoversi, si deve muovere, anche se limitato. E a far muovere questo lieve andamento si nutre una speranza di poter tornare a praticare la nostra quotidianità, forse anche meglio di prima, e ovviamente il restare vivi. Davanti a noi un sorriso, che ci invita a stare a casa per il nostro bene, e che ci illude in maniera innocente. Il sorriso del controllo.

Bologna, Via Rizzoli.

L’altra faccia della medaglia nasconde un’inquietudine che ormai si è assottigliata. Divenuta come un filo che si srotola perenne di giorno in giorno, un suono stizzoso che turba e sembra ti segua ovunque vada. Le città vuote della vita, mosse nel piccolo da quel che si può fare per non morire, sono un intreccio di questi fili. Un filo di Arianna per non perdere la via d’uscita una volta ucciso il mostro.

Bologna, Via Rizzoli.

Questa serie di scatti sono nati in una semplice giornata in cui, tornando da lavoro, avevo con me la macchina fotografica. Risalgono a metà marzo, e non pensavo la situazione si prolungasse in tale maniera. Ci è stato detto di restare a casa, per alcuni, quelli con le gabbie dorate, è facile dirlo, per sino farlo. E per chi la casa è una gabbia e basta? per chi casa vuol dire violenza o ansia? E per chi non ha una casa … e nemmeno gli importa di averla? Non sto qua a ostentare carità per chi sceglie uno stile di vita diverso, ognuno di noi è libero e fa ciò che vuole con la propria vita. Ma trovo irresponsabile le modalità con cui non è stato valutato l’effetto indesiderato e anche grave che i nostri governanti dovrebbero avere sul libretto delle indicazioni quando adotti certe misure.

Isolamento

Bologna, Piazza della Mercanzia. Un piccione.

E qui torniamo a noi. Tutto questo trambusto e comunque siamo qui, dentro casa, gustandoci le prime giornate di sole per quel che possiamo, attendendo un ritorno che si fa sempre più lontano. Torniamo al nostro tempo che ci ha imposto di guardarci, nel più o nel meno, dentro noi stessi, facendoci scaturire una marea di pensieri e domande. Certo ora, rispetto all’inizio, la tensione sembra calare, le persone hanno capito forse la delicatezza della questione e si son provvedute a tutela di se stessi e degli altri. E il sole sta facendo la sua parte.

Per la prima volta nei miei venti tre anni ho visto un capo del mio governo riconoscere un grave pericolo ed adottare misure per prevenire e tutelare quello che è il suo paese con annessi cittadini. Certamente di questioni da spiegare ne ha ancora tante, ma si è assunto una responsabilità che sinceramente, visti i precedenti politici di questo paese, non saprei come se la sarebbero gestita gli altri. Sono grato di questo. Lo schifo non ha mai cessato di esserci, ma siamo vivi, state leggendo questo articolo, quindi vuol dire che in qualche modo state sopravvivendo a questa apocalisse dei comodi. Prendiamo atto di questo, nella situazione in cui ci troviamo, per realizzare che non possiamo far solo parte di un collettivo formato da semplici individui ognuno fine a se stesso. Non è cosi, l’essere umano fa parte di una visione di insieme ben più ampia di quella che sappiamo. Ma non è irraggiungibile questa visione. Bisogna conoscere, partendo dai dubbi che smontano il tuo sapere. Un meccanismo di sopravvivenza che deve portarci ad anelare la conoscenza del noi interiore e del mondo che ci circonda, vivo, e che interagisce con noi. Dal macro al micro. Un collettivo di persone che per tutelare se stesse, stanno tutelando l’altro senza intenzione. Prendiamo atto di questo.

In questa solitudine forzata, possiamo notare la miseria e l’inutilità delle cose che compongono la nostra quotidianità, quando gli priviamo delle nostre azioni. Per questo sentiamo malinconia. Forse tutto ciò dovrebbe portarci a chiedere cosa davvero è utile. E sopratutto quanto ancora in fondo possiamo arrivare. La solitudine di ognuno di noi che ci accompagnerà fin nella tomba.

La vita proseguirà con o senza di noi. Dobbiamo scegliere se estinguerci lasciando un pianeta marcio o prosperare. Raggiungere quella visione d’insieme dell’uomo, in grado di rompere le barriere dello spazio e del tempo. Incamminarci in quest’oscurità in noi stessi ed esplorarla, per saperla attraversare e prenderne coscienza. Questi vicoli vuoti devono ricordarci come non sono tanto le cose negli spazi a creare bellezza e produttività, ma noi che riempiamo questi spazi, dandogli un valore. I vicoli bui del nostro io più interiore che riusciamo a sentire, e che fa emergere tanta paura, la paura di ciò che non conosciamo. Non lasciamoci spaventare da questa sensazione, ma trasformiamola in un moto di sopravvivenza per il nostro corpo e la nostra mente. Una ricerca perenne della conoscenza come fonte di vita. Come l’aria o l’acqua. Conoscere se stessi per esplorare l’altro. Conoscere noi stessi per poi aprirsi ed esplorare. E conoscere, per non sapere più cose, e continuare a muoversi per saperle, per rimanere vivi.

Bologna, Via degli Orefici. Uomo in isolamento.