JUERGEN TELLER

«Ho 48 anni. Mio padre si è suicidato a 47. Io ne avevo 24. Giovane. Cambia tutto, in un istante. Di recente ho trovato una foto del padre di mio padre, mio nonno paterno, quando aveva la mia età. Veniva dai Sudeti, ora quella è Repubblica Ceca. Era uguale a me. E stava lavorando nella fabbrica di archetti per violini dove lavorava mio padre e avrei dovuto lavorare io se non me ne fossi andato a Londra con il sogno di fare il fotografo. È il potere della fotografia. Siamo uguali, ho pensato. Ho 48 anni e sto vivendo gli anni che non ha vissuto mio padre»

Juergen Teller, nato in Germania agli inizi degli anni Sessanta inizia a studiare fotografia nei primi anni Ottanta presso la Bayerische Staatslehranstalt für Photographie di Monaco.
All’età di 24 anni Teller decide di allontanarsi dal mestiere di famiglia, nella fabbrica di archetti per violino. Fingendo un’allergia al legno, si trasferì a Londra, diventando famoso agli inizi degli anni Novanta, nel momento in cui le riviste inglesi cambiarono lo stile della fotografia di moda. 
Inizialmente la fotografia di moda ha sempre proposto se stessa quale universo parallelo e “altro” rispetto quello dell’esperienza reale, ovvero, ogni stimolo esterno, ogni influsso della cultura, una volta assunto dentro l’immagine, ha poi finito per vivere di vita propria, in maniera autosufficiente, proponendo un mondo certo credibile, ma non effettivamente coincidente con quello reale, un mondo affiancato e parallelo a quello di tutti i giorni. 
La novità più rilevante della fotografia di Teller riguarda proprio il ribaltamento di questa logica dell’autonomia: la coincidenza tra mondo reale, anzi, fra il proprio mondo privato e il mondo della moda è nel suo caso totale, tanto che scorrendo i suoi lavori si ha come la sensazione di sbirciare di nascosto in una sorta di diario privato, in un album di famiglia generosamente lasciato a disposizione di tutti. Si può definire comportamentismo il suo stesso modo di intendere la fotografia, nel senso che l’obiettivo prioritario del lavoro, più che la produzione dell’opera materialmente intesa, pare piuttosto essere lo sviluppo del rapporto fra autore e soggetto, rapporto che a noi si ripropone nella mediazione dell’immagine.
Occorre dire che l’aspetto più interessante del suo lavoro consiste proprio nel pieno e totale rifiuto di quella generale condizione di artificialità che sembrerebbe necessaria alla vita stessa della fotografia di moda.
Le fotografie di Teller sono pulsanti, come la vita vera. Coerente, originale, non omologato, i suoi messaggi sono sempre accattivanti. Accoglie quegli errori della fotografia, quali, riflessi, sfocature, facendone una scelta di stile; mossa inusuale quanto incisiva. 
“Jürgen ha una grande sensibilità, e per questo si coglie sempre una sfumatura di dolcezza nelle sue foto. La sua è una realtà non corrotta ma armoniosa, che attrae e fa riflettere. A Jürgen piace raccontare la verità” dice Rossella Jardini, e conclude “ …e così a Moschino: per questo lo ho scelto”.
Istinto e semplicità hanno guidato, scatto dopo scatto la mano del fotografo tedesco dall’inizio della sua carriera. Lo stesso immediato e romantico linguaggio sempre sullo sfondo. L’approccio all’immagine infatti non cambia sia che sia uno scatto di moda, un’immagine d’archivio o l’idea che produrrà un opera d’arte Juergen Teller è sempre lui, l’atmosfera bruciata con i flash che sovraespongono i colori e la sua macchina fotografica Contax, solo la destinazione finale è diversa. 
 
«Faccio solo ciò che sento giusto, senza badare alle tendenze, usando la macchina fotografica come mezzo d’espressione. La tecnica non mi interessa: è molto importante, certo, ma non è che uno strumento»
 
Arianna Oggioni
Cecilia Ripesi